Nella vita di ogni insegnante capita di trovarsi di fronte a svolte che non si possono percepire se non come definitive. Clic, fa il cervello. E tu pensi: “Più di così, non si può”. La sensazione, per capirci, è quella di uno schianto glorioso.
Succede ogni anno, quando vai ad affiggere la tabelle con i risultati della maturità (il primo sguardo solitario ai nomi incorniciati dalle puntine da disegno, o dallo scotch: una specie di ius primae noctis). Succede quando resti sola sul piazzale delle corriere dopo aver riconsegnato al termine della gita anche l’ultimo pargolo (o pargolessa) indenne, ma con più occhi, alla sua vita. Succede in qualche cena di Natale, o di compleanno, o finale in cui assaggi la libertà e l’armonia dello stare bene insieme – e ci sguazzi con la consapevolezza di una che, dopo il massacro di mesi di allenamento, si spaparazza dentro una jacuzzi (mai successo, ma io la jacuzzi me la immagino così).
Fare l’insegnante è anche essere esposti, periodicamente, all’esperienza del limite: una cosa strana, carica, insieme, di appagamento e di malinconia. Felicità e allontanamento nello stesso tempo.
Sono usciti i certificati. Dai cassetti, dalle carte che per mesi non ho avuto la forza di mettere in ordine, dalle borse. Sei in tutto, anche se erano di più. Qualcuno si è perso per strada.
Così l’anno che è stato rigurgita sui numeri messi in fila dei giorni accuratamente rimossi.
A che gioco giochiamo, quando chiediamo i numeri dei non vaccinati di una categoria di lavoratori che è stata tra le prime ad essere vaccinata (percentuali almeno della prima dose: 85 %). A che gioco giochiamo, quando ventiliamo di stilare elenchi di non vaccinati modello liste di proscrizione sovrapponendo in quello che affermiamo la mancanza (presunta) a una volontà degli stessi di non sottoporsi.
L’ultimo cucchiaio della marmellata che mi hai regalato. Faccio colazione pensando a quando arriverà – perché: arriverà. Allora mangio il pane quasi con foga, tra impaurimento e stanchezza.
Contratti di tre mesi uno due poi rinnovo magari sospendo non si preoccupi prof comunque in prova può essere che dopo comunque nel frattempo. Turni di due di tre poi si cambia ma forse la giornata però a sei ore vediamo otto ore e poi le notti se mi chiedono vuoi mettere a quanto le pagano le notti in fondo è soltanto da stare svegli le notti – o no. I permessi per continuare a frequentare?
Dal 1961 al 2001 c’è stata la più lunga e clamorosa delle rivoluzioni della storia italiana. Per quarant’anni, migliaia di persone hanno imbracciato penna, gesso e registro, e per ogni giorno della loro vita hanno fatto quello in cui nessun altro (né eserciti, né governi, né fabbriche) era riuscito: costruire un paese intero. Cioè dare alle teste di quel paese una struttura comune, un terreno di parità – che, poi, vuol dire anche un piano di confronto. In termini pratici, questo significa che se tu dici “Divina Commedia”, o “acido desossiribonucleico”, o “teorema di Pitagora”, o “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”, da Nord a Sud e da Est a Ovest gli interlocutori sanno di che cosa si sta parlando. Certo, chi più chi meno (occhi lucidi, sguardi sbarrati ed espressioni di schifo a parte: questo non è un discorso di percezione), con nostalgia o balbettando – ma: ce l’hanno. Lo sanno. Fa parte di loro.