C’è una parola precisa per indicare, nel gergo del tango, quel personaggio che ha più velleità che lavoro, più illusioni che prospettive, più inerzia che reazione: quel termine è atorrante. Il nome di chi, nonostante gli sforzi, non ce l’ha fatta, e si ritrova a penare da immigrato il proprio destino: l’epiteto che circoscrive un crinale di povertà facilissimo da imboccare per masse inurbate, che campano da perdigiorno, ostaggio di crisi ogni due per tre, senza un grande futuro davanti.