Maria Nieves: un abbraccio. Y nada mas.

«Io sono la più antica di tutte le ballerine di tango»
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Lucia scatta esattamente come un punto alla frase.
Che è perfetta: finale e drammatica, come un paradigma.

Maria Nieves, le gambe del tango, così come l’hanno chiamata per decenni, le gambe ce le ha ancora belle: la caviglia sottile, la linea affusolata, il gesto morbido e vitale. Accavalla e scavalla come se fossimo al Ritz – invece siamo su una panchina di plastica qualsiasi, e alle spalle abbiamo uno stanzone al Dorrego pieno di pezzi che non vanno uno con l’altro.

«Prima di me era l’epoca del canyengue: le donne erano sottomesse. Si appoggiavano. Rispettavano. Bah…»
mi guarda più da vicino, per dritto:
«eravamo muy bobas.»
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E si volta, mi dà per un attimo il profilo, scaccia un pensiero fastidioso.
Boba: sciocca.
Stupida.
Tonta.
«Ma ora le cose sono cambiate – sorride, serafica – perché, oggi, la donna è un ottanta per cento del tango»
La pettinatura corta di sempre. La voce roca, pastosa come una diva del cinema anni Quaranta. Le parole scelte, una a una, e fatte vibrare come materia viva: storia, amore, dolore, oblio. Tutto: in ogni singolo gesto.
Tutto semplice, tutto diretto. Tutto perfetto.

Questa è stata LA donna del tango: Broadway, New York, l’Europa, gli anni Sessanta Settanta Ottanta, gli spettacoli, le coreografie.
L’obiettivo di Lucia indugia: la sua messa a fuoco e la mia messa a fuoco vanno piano. La forza di Maria Nieves richiede rispetto, e cautela.

«Quando ero giovane, alle ragazze era permesso uscire solo di sabato e di domenica. Era il massimo. Ci accontentavamo: era il regalo più grande. Del Club Atletico Atlanta, a Villa Crespo, mi ricordo molte cose: alle dieci si apriva il ballo»
Ora Lucia cambia posizione: a Maria Nieves si apre un sorriso che corre all’indietro.
«Il Club era grandissimo, occupava tre quarti di cuadra: suonavano tre tanghi e si fermavano. Alle dieci e un minuto ero già in pista: ballavo senza tregua, fino alle quattro del mattino. Lavoravo tutta la settimana, solo per arrivare a sabato. E la domenica… la domenica era: la tristezza»
Solo una piccola sospensione.
Le mano si ferma soltanto un attimo, aperta, le dita tese.
«Me lo ricordo come un momento pieno di innocenza. Quello che ha ucciso il mondo è la televisione. Allora, invece, c’era la radio. Se muoio, torno a vivere in quell’epoca»

Al Dorrego, per il Festival del Tango della città di Buenos Aires, questo pomeriggio, Maria Nieves insegnerà: abbraccerà ancora, guiderà ancora.
Piedi gambe caviglia busti. Come centinaia e centinaia e centinaia di volte.
«Oggi ci sono molte coppie buone. Sarei mala se non lo ammettessi. Però quando c’è più movimento di braccia che di gambe… bisogna tornare alle radici, al pavimento: con sentimento»
click. Di fronte, gli occhi sull’obbiettivo.
click. Il braccio destro che viene avanti.
click. Lo sguardo di lato verso l’alto.
Maria Nieves in cinque, dieci, venti varianti: non ne sbaglia una.

«Cos’è, una ballerina: »
Respira a fondo.
«una ballerina è responsabilità. Professionalità. Allenarsi molto. Essere costante. Essere professionale dalla punta dei capelli alla radice dei piedi. E’ tutta una storia, essere una ballerina. Si lascia molto durante il cammino: amori, figli – si rinuncia a molte cose…»
Si accende una di quelle sue famose sigarette lunghe, teatrali.

«Mi sono dedicata al tango come a una persona»

 

 

Nel 2009, per la pubblicazione di “Buenos Aires Café”, Postcart Editore, fu il tempo giusto per il superbo ritratto di Maria Nieves di Lucia Baldini.
Oggi , nell’attesa (emozionata) di “Un tango mas”, arrivano anche le parole.

E’ giusto che ogni cosa trovi il suo tempo.

 

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