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Baratti, uno scavo.

È la tua punta che scava, infitta, circolare, la lotta della sabbia che ricolma la buca, a svegliarmi.
Ascolto l’ombra del telo che stendi: aderisce perfetto al mio perimetro di lino – dove non più cinabro, non più ricamo prezioso.
Chi sei, tu che non sai delle mie gambe mozzate, delle clavicole appaiate, dello sterno, del mio orecchino di bronzo, dell’oro modellato in minuscole fibule?
Hai un cuore pesante, due chiodi senza espiazione, esposti (diastole e sistole contro il soffitto dei miei ricordi).
Northia forse non ti tiene più, eppure mi hai chiamata a te: le tue ginocchia contro le mie ginocchia, la tue spalle contro le mie spalle, la tua testa dove è la mia testa – il mio orecchio chiuso sul tuo orecchio.
Se mi spingo fino a te, tu mi sentirai?
Aspetto solo che ti addormenti.

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L’arte del sussurro. Ovvero: delle nuove frontiere di disconnessione sociale

«ASMR»
dice.
«Che?»
Siamo in cinque: tolti i suoi, fanno otto occhi a padella intorno a un tavolo.

Mia sorella tecnologica è sempre stata proiettata avanti (per dire: della sindrome di Hikikomori mi ha spiegato cosa e come, prima ancora che ne incrociassi il mio primo caso scolastico; e, se sono corsa a vedere Nausicaa nella Valle del Vento, e tutto Miyazaki, è perché mi ci ha spedita lei).
Insomma: è la ragazza più contemporanea che io abbia mai conosciuto.
Ma quando ieri è uscita la storia dell’ASMR, giuro, non volevo crederci.

In breve ci spiega, a noi attorno al tavolo, che esiste gente che campa di sussurri.

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P di Pasqua. P di Pound. P di perché.

Il sabato di Pasqua, in piazza, c’è il sole.
E ci sono i poliziotti in tenuta antisommossa, e il cellulare parcheggiato dal lato opposto. E c’è pure la pattuglia.
Conto: sei, sette, otto mitra imbracciati – le facce serie. Poi altri tre, senza mitra, un poco più avanti.
Il sabato di Pasqua c’è il mercato, e tutti si muovono.
«E’ per farci sentire più sicuri»
dice, convinta, una commessa nel negozio di vestiti. Io penso: sicuri da che? Poi esco e faccio il giro largo.
A metà piazza lo vedo: il banchetto. Le tartarughe orizzontali che navigano sul fondo nero. E: le facce. Tutti maschi, tutti giovanotti, tutti senza sorriso, tutti rasati, tutti vestiti di nero.
Porca merda.

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