Browsing Category Tango, la magnifica ossessione

Lettera da una attesa.

Don Osvaldo, mi perdoni subito: non è una assoluzione quella che chiedo. Solo, un po’ di silenzio condiviso.
Lo so, lo so. Non ha nemmeno da aprire bocca: è evidente che siamo in tanti a tirarla per la giacchetta, in questo momento. E però con qualcuno bisognerà ben condividerla, questa cosa qui, che non c’è coraggio che tenga di dirla per dritto. Non serve neanche andare a scomodare Jorge Luis: si sa che le parole fondano il mondo. Una volta dette, esistono, e con loro anche tutto quello che si portano dietro. E queste, lo sappiamo entrambi, sono parole deformanti, da cui non si torna: nessuno, del resto, poteva immaginarsi che si sarebbero messe di nuovo in fila in questo modo micidiale.

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Caparros. Todo por la patria?

C’è una parola precisa per indicare, nel gergo del tango, quel personaggio che ha più velleità che lavoro, più illusioni che prospettive, più inerzia che reazione: quel termine è atorrante. Il nome di chi, nonostante gli sforzi, non ce l’ha fatta, e si ritrova a penare da immigrato il proprio destino: l’epiteto che circoscrive un crinale di povertà facilissimo da imboccare per masse inurbate, che campano da perdigiorno, ostaggio di crisi ogni due per tre, senza un grande futuro davanti.

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Borges e il tango: un disamore senza fine.

Non ci fosse il nome di Jorge Luis Borges, dietro la storia de Il tango, pubblicato nella Piccola Biblioteca Adelphi, si potrebbe pensare a una catena di coincidenze creata ad arte, poiché sono davvero rari i casi di ostinazione alla sopravvivenza come quella manifestata dal corpus di registrazioni che ha attraversato mezzo secolo, due continenti, almeno quattro abitazioni private e svariati proprietari prima di diventare quello che è ora materia pubblica di carta, riflessione e studio.

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Breve storia de El tipo. (Con morale triste).

Nel 199* arrivò sull’acropoli di montagna uno spettacolo di tango – il primo del genere ad arrischiarsi a risalire su per il passo Fadalto. La compagnia era stata invitata in cartellone dal Circolo Culturale, la più prestigiosa e antica istituzione musicale del paesello.
C’erano i musicisti, c’erano le coppie, c’erano le luci i costumi le coreografie. C’era, insomma, una storia. 
Nessuno aveva mai visto una cosa del genere in provincia, prima: un’ora e un quarto di tempi rubati, accenti spostati come un sospiro, strappate, pause, archetti mantici tastiere e un suono sporco e drammatico, umanissimo. 
E poi c’era il ballo.

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Maria Nieves: un abbraccio. Y nada mas.

«Io sono la più antica di tutte le ballerine di tango»
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Lucia scatta esattamente come un punto alla frase.
Che è perfetta: finale e drammatica, come un paradigma.

Maria Nieves, le gambe del tango, così come l’hanno chiamata per decenni, le gambe ce le ha ancora belle: la caviglia sottile, la linea affusolata, il gesto morbido e vitale. Accavalla e scavalla come se fossimo al Ritz – invece siamo su una panchina di plastica qualsiasi, e alle spalle abbiamo uno stanzone al Dorrego pieno di pezzi che non vanno uno con l’altro.

«Prima di me era l’epoca del canyengue: le donne erano sottomesse. Si appoggiavano. Rispettavano. Bah…»

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Falta EL mejor, quella volta con Felix Picherna.

Possiamo anche chiamarla coincidenza. Destino.

Forse, non è che una di quelle silenziose fatalità che si rincorrono nella vita di una persona, sino ad accompagnarla proprio là dove qualcosa la chiama.

Ne è consapevole, Felix Picherna, quando ricorda il suo passato di strillone di giornale: Buenos Aires, 1943. A otto anni, il monello che “pensava solo al pallone” percorreva le vie dei quartieri centrali vendendo i suoi giornali a una clientela che ancora non sapeva tanto speciale: davanti ai suoi occhi, ad aprire gli augusti borsellini erano distinti signori che si chiamavano Juan D’Arienzo, Annibal Troilo, Marino e Fiorentino.

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prima della milonga.

Alle 10 del mattino la casa è già piena di musica. Alberto scorre l’archivio: di venti secondi in venti secondi, i violini e i pianoforti, i silenzi, le pause, i ritardi, i tempi percussivi e le variazioni occupano tutto lo spazio tra la sala e lo studio.
Di Sarli. D’Arienzo. Pugliese. Gobbi. Piazzolla. Fresedo. Troilo. Grela. Varela.
I nomi si confondono ai titoli: abbiamo ospiti che fanno stringere gli occhi. Indietro.
Di quanti tanghi. Di quante notti. Di quanta strada.

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